Con ordinanza n. 676/2016
depositata il 4 marzo 2016, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione
ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito:
“Se la modifica dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 L. n.
69/2015 nella parte in cui disciplinando “Le false comunicazioni sociali”, non
ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o
meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.
La decisione del Supremo
Collegio trae origine dalla necessità di comporre il contrasto sorto
all’interno alla stessa Quinta Sezione Penale, che in poco più di un mese è
giunta a due opposte soluzioni.
La prima interpretazione,
affermata con la sentenza n. 6916/2016, e prima ancora con la pronuncia n. 33774/2015,
conferisce effetto abrogativo all’elisione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.
La Corte perviene a tale
conclusione utilizzando i criteri letterale e sistematico: da un lato,
l’aggettivo “materiali” è funzionale
ad escludere la rilevanza penale delle valutazioni (tanto più che il
legislatore delegato ha deciso di sostituire i fatti alle informazioni
presenti invece nella legge delega); dall’altro, il legislatore ha lasciato
inalterato l’art. 2638 cod. civ. (rubricato “Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”),
che contiene un esplicito riferimento alle valutazioni, peraltro “proprio a precisazione contenutistica della
stessa locuzione fatti materiali non rispondenti al vero”.
Con la sentenza n. 890/2016 la
Suprema Corte ha però fornito una interpretazione opposta: non è possibile
escludere il c.d. falso valutativo, poiché la maggior parte delle iscrizioni in
bilancio è frutto di una valutazione, effettuata peraltro mediante parametri
predeterminati.
Di conseguenza, la nuova
formulazione dell’art. 2621 cod. civ. non può avere effetto parzialmente
abrogativo e l’esposizione di fatti oggetto di valutazioni costituisce ancora
una condotta penalmente rilevante.
Alle Sezioni Unite l’ultima
(forse) parola.